Nel solco della memoria, con il senso preciso dell’impegno a trasmettere ad altri, e soprattutto alle giovani generazioni che non hanno vissuto né visto l’orrore provocato dalle leggi razziali, Giorgio Getto Viarengo, come sempre preciso, puntuale, appassionato descrive la deportazione degli ebrei dalla provincia di Genova.
Il suo racconto parte dalla primavera del 1938, l’anno nefasto nel quale anche la nostra provincia vede – o potrebbe vedere se lo volesse – l’orrore del nazifascismo. A partire dalla visita del duce a Genova e al Tigullio dopo l’incontro con Hitler.
Procede all’illustrazione del manifesto degli scienziati razzisti pubblicato su tutti i giornali. Oggi pensiamo – ma sempre avremmo dovuto pensare – che scienziato e razzista sono termini antitetici, essendo l’uno il contrario dell’altro. Allora non si volle vedere.
Viarengo racconta poi i tempi, le modalità e le motivazioni dei provvedimenti emanati in difesa della razza, assunti il 2 settembre 1938 addirittura in via d’urgenza per poterli mettere in esecuzione sin dall’inizio della anno scolastico.
Anche in questo caso scuola e difesa della razza avrebbero dovuto apparire “concetti” contrastanti uno con l’altra. Ma la ragione degli italiani, o meglio della loro maggioranza sembrava del tutto addormentata, pronta a generare mostri.
Dopo la dichiarazione di guerra segue nel libro, a partire dal 1943, la dolorosa storia degli ebrei arrestati, internati, deportati nella provincia di Genova in esecuzione delle leggi razziali e delle odiose circolari nonché dei vessatori provvedimenti amministrativi assunti nei loro confronti.
Leggendo il libro di Viarengo mi sono rafforzata in un’opinione: che a partire dal 1938 si decise e si volle, purtroppo con la complicità di tanti italiani, annientare in Italia le persone di razza ebraica iniziando ad impedire loro il lavoro, la gestione di qualsiasi affare, il possesso di beni, l’insegnamento e anche l’apprendimento. Si passò poi allo sterminio vero e proprio ma il tentativo di eliminazione era già iniziato fin dal 1938.
Dalla preziosa opera di memoria compiuta da Viarengo non deve derivare a noi soltanto orrore o, peggio, disperazione.
Noi non possiamo dimenticare che il sangue di tanti innocenti ha fruttificato: si è tradotto nei principi fondamentali della nostra legge suprema, la nostra Carta Costituzionale, là dove si dice all’art.3 “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.”
Il ricordo dell’orrore è certamente ancora presente nel titolo primo della prima parte della Costituzione intitolata Diritti e Doveri dei Cittadini là dove si tratta, dall’art.13 in avanti, dei Rapporti Civili.
A me pare che i nostri costituenti nello scrivere queste norme, che legano tutti gli italiani in un vero e proprio patto sociale, abbiamo voluto ricordare, perché non si verificassero mai più, le inaudite sofferenze di tanti nostri fratelli.
Essi, i costituenti, hanno adempiuto al dovere di legiferare perché quell’orrore non si ripetesse così come a loro chiedevano milioni di morti.
I quali anche a noi, e soprattutto anche ai giovani, continuano a chiedere che non si dimentichi quello che essi hanno patito.
Per passare dalla loro morte alla vita delle nostre generazioni e soprattutto a quelle future.
A Giorgio Getto Viarengo ancora una volta va il mio ringraziamento per il rispetto doloroso e l’appassionato raccontare con cui fa, per tutti noi, memoria di quei tragici avvenimenti.
FERNANDA CONTRI
Già Vice-Presidente della Corte Costituzionale